Il telelavoro costituisce oramai la tendenza prevalente nei settori e nei lavori a ricco contenuto di informazione e per le professionalità medio alte. Prendendo atto di questa nuova frontiera del lavoro, il legislatore ha previsto, per la prima volta, nella pubblica amministrazione, il ricorso al telelavoro. L'introduzione del telelavoro nelle amministrazioni pubbliche è stato finora scandito da una serie di atti formali con cui il legislatore prima e le parti negoziali poi hanno via via precisato la cornice regolativa entro cui andranno promosse e avviate forme sperimentali di telelavoro. Tali atti formali sono stati, nell'ordine:
D'ora in poi spetterà alle capacità progettuali delle singole Amministrazioni e alla contrattazione collettiva che sarà svolta nei comparti a livello nazionale, integrativo e decentrato, passare alla concreta attuazione delle previsioni contenute nei testi appena menzionati. La complessità di questo percorso non ha nel frattempo impedito che, anche sulla base di quanto già previsto dall'art. 4 dalla legge n. 191/98 venissero redatti progetti, negoziati e accordi sindacali per l'introduzione di forme di lavoro a distanza. Fra i due testi, quello iniziale sub 1 e quello finale sub 2, è evidente un significativo spostamento di piano fra le finalità di tipo funzionalistico espresse nel primo caso, incentrate essenzialmente sulle esigenze economiche-organizzative delle Amministrazioni, e quelle assai più articolate del secondo, in cui spicca invece una maggiore attenzione nei confronti della persona del lavoratore, nei confronti del quale viene attentamente salvaguardato il pieno inserimento normativo professionale e relazionale nell'ambiente lavorativo di appartenenza. Prima di analizzare le soluzioni adottate per l'inserimento del telelavoro nella pubblica Amministrazione, soffermiamoci su quella che è la definizione di Telelavoro su cui si basano le suddette fonti normative. Nella Bassanini-ter il legislatore parla di "lavoro a distanza", di "prestazione lavorativa in luogo diverso dalle sedi di lavoro", presumendone inoltre una pluralità modale; si parla infatti di "forme di lavoro a distanza". Nel DPR. N° 70 il concetto di lavoro a distanza viene ricondotto all'"attività di telelavoro", con una maggiore attenzione, quindi, ai parametri spaziali e temporali caratterizzanti l'attività lavorativa. Telelavoro è "quella prestazione eseguita dal dipendente di una delle Amministrazioni pubbliche di cui al decreto n°29/93, in qualsiasi luogo ritenuto idoneo, collocato al di fuori della sede di lavoro dove la prestazione sia tecnicamente possibile, con il prevalente supporto di tecnologie dell'informazione e della comunicazione, che consentano il collegamento con l'amministrazione cui la prestazione inerisce". L'accordo quadro fonda su questa definizione le misure che dovrebbero favorire l'inserimento concreto del telelavoro nelle singole Amministrazioni. Passiamo ora all'analisi delle singole fonti normative che hanno scandito l'introduzione del Telelavoro nella P.A.: l'art. 4, primo comma, della legge 16 giugno 1998, n. 1913 (la così detta legge Bassanini-ter), ha espressamente stabilito che "allo scopo di razionalizzare l'organizzazione del lavoro e di realizzare economie di gestione attraverso l'impiego flessibile delle risorse umane, le amministrazioni pubbliche possono avvalersi di forme di lavoro a distanza". Per completare la normativa, l'art. 4 prevede appunto due rinvii, uno ad un regolamento (comma 3), l'altro alla contrattazione collettiva (comma 5). Il Regolamento è stato approvato con decreto del Presidente della Repubblica, 8 marzo 1999 n. 705; il Ministro della funzione pubblica, indica all' A.r.a.n. (l'agenzia per la contrattazione del pubblico impiego) come strutturare i prossimi contratti per gestire l'impiego flessibile del personale e affida all'Aipa (Autorità per l'informazione della pubblica amministrazione) un ruolo strategico nel decollo dell'homeworking. Il Regolamento, dinanzi citato (8 marzo 1999 n. 708), al primo comma, riprende il principio che è alla base dell'applicazione del telelavoro nella Pubblica Amministrazione, principio che già si rinveniva nell'art. della legge 16 giugno 1998 n. 191, cioè "la razionalizzazione dell'organizzazione del lavoro e la realizzazione di economie di gestione". Nell'art. 2 del Regolamento viene specificato cosa intendeva il legislatore del 98 con il termine "lavoro a distanza" ed è questa una profonda innovazione, perché è la prima volta che, in un testo normativo, viene data in maniera chiara ed esplicita la definizione di telelavoro. I punti principali di tale definizione sono:
Il regolamento sembra perseguire la strada intrapresa dalla contrattazione collettiva privata, che ha considerato il telelavoro solo nell'ambito della fattispecie del lavoro subordinato. Infatti, rivolgendosi esclusivamente al personale già in servizio nella pubblica amministrazione, che vuole far ricorso al telelavoro, considera implicitamente tali lavoratori come subordinati tout court. Allo stato attuale delle cose è anche giustificata una interpretazione in tale senso. Se, però, teniamo conto del processo di privatizzazione in atto e dell'avanzamento del principio di sussidiarietà, è facile immaginare i problemi che in futuro si avranno quando l'amministrazione pubblica e i telelavoratori indipendenti verranno a contatto tra loro. Per la questione riguardante la delocalizzazione dell'attività lavorativa, bisogna dire che per sede di lavoro (art. 2, punto c) si intende quella dell'ufficio al quale il dipendente è assegnato. L'amministrazione può decidere di far eseguire la prestazione in un locale esterno di sua pertinenza o gestito in comune con altre amministrazioni (punto 7, art. 3), o con privati (punto 8, art. 3). Naturalmente, nulla vieta che la prestazione venga eseguita nel domicilio del dipendente, previo il rispetto di tutte le norme circa la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro e la tutela dei dati trattati. Lo scopo principale della pubblica amministrazione sarà, oltre di snellire degli uffici, anche di favorire un avvicinamento delle istituzioni al cittadino. Lo strumento del telelavoro può aiutare in tal senso, laddove l'amministrazione pubblica si renda promotrice della creazione di centri di telelavoro dislocati sul territorio. Il secondo elemento che emerge dalla definizione è quello attinente all'utilizzazione prevalente di apparecchiature e di programmi informatici (art. 5 punto 1). In sostanza la postazione di telelavoro deve essere dotata di un insieme di apparecchiature che consentano la raccolta, l'elaborazione e la trasformazione, nonché la comunicazione dei dati. La "prevalenza" di tale strumentazione sta a testimoniare che la prestazione, in mancanza della stessa, non si sarebbe potuta realizzare. Ultimo rilievo alla definizione in oggetto è quello della collegabilità del dipendente con l'amministrazione di appartenenza, rispetto alla quale, pertanto, la prestazione è a tutti gli effetti imputabile. L'art. 3 del Regolamento individua la procedura che l'amministrazione interessata deve seguire per far ricorso al telelavoro; occorre una proposta che parta dal dirigente generale (o figura equiparata). Sulla base di tale proposta, l'organo di governo di ciascuna amministrazione individua gli obiettivi raggiungibili mediante il telelavoro e vi destina apposite risorse. La fase successiva (art. 3, c.2) è, forse, quella più importante, perché si sostanzia nella predisposizione, da parte dell'amministrazione pubblica, di un progetto generale di telelavoro. Un autore ha giustamente posto l'attenzione sul fatto che "una determinazione così analitica ed ampia dei contenuti del progetto potrebbe forse scoraggiare qualche piccola amministrazione dal ricorso al telelavoro. Con ogni probabilità, però, si può prevedere che dopo una breve fase di rodaggio, quando magari si sara formata una modulistica standard del progetto, gli ostacoli di tipo burocratico appariranno meno insormontabili di quanto possano apparire in questo momento". Per quanto riguarda l'assegnazione del dipendente al telelavoro, dobbiamo far riferimento all'art. 4, c. 1: "l'amministrazione assegna il dipendente al telelavoro sulla base dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva". In merito all'assegnazione del dipendente al telelavoro, la dottrina è orientata nel considerare l'assegnazione "un atto gestionale unilaterale dell'amministrazione mediante il quale essa, avendo determinato con il proprio progetto di fare ricorso al telelavoro, modifica la modalità di svolgimento della prestazione lavorativa di quei dipendenti che sono funzionali alla realizzazione del progetto". Sarebbe, anche, assurdo ritenere che le scelte organizzative della pubblica amministrazione, possano essere influenzate dalle valutazioni personali di soggetti privati che, oltre tutto, costituiscono le risorse di cui la stessa si serve. In merito allo svolgimento della prestazione lavorativa, il regolamento prevede che (art. 5, c. 2-3) la postazione di telelavoro, cioè l'insieme di hardware e software che consentono lo svolgimento dell'attività, sia fornito, installato e collaudato da parte dell'amministrazione, che ne sopporta le spese. La postazione di telelavoro può essere utilizzata esclusivamente per tutte le attività inerenti allo svolgimento del rapporto di lavoro (art. 5 c. 5). Il regolamento presenta delle lacune, come è stato notato da Gaeta, in merito alla personalità della prestazione. "Il principio della personalità della prestazione si raccorda al tema dell'identificazione del dipendente. Tra tutti i sistemi che l'evoluzione dell'informatica rende di volta in volta disponibili (uso di password, badge personali, quello recentissimo della firma digitale, e così via), l'amministrazione, potrà predisporre quello più idoneo ad assicurare che la prestazione sia resa effettivamente dal proprio telelavoratore". Accanto alle prescrizioni sopra indicate, valide per tutte le forme di telelavoro applicate nella P.A., il Regolamento ha introdotto delle norme speciali per il telelavoro effettuato nel domicilio del dipendente. In merito all'applicabilità della legge n. 877/1973 (al telelavoro domiciliare pubblico), Visconti ritiene sia opportuno, per le pubbliche amministrazioni, realizzare modalità operative idonee ad impedire la riconduzione nell'ambito del campo di applicazione della legge n. 877/1973 della prestazione di telelavoro. Quindi, per il Regolamento, il telelavoro da esso disciplinato e subordinato, a prescindere dal luogo di svolgimento della prestazione. Le poche norme volte a regolare questa forma di telelavoro sono:
In base al disposto della norma, l'accesso nel domicilio del dipendente è consentito solo ai soggetti aventi competenza in merito alla salute e sicurezza dei lavoratori, nell'esercizio delle loro funzioni di verifica e controllo. La definizione delle modalità di tale accesso è demandata alla contrattazione collettiva. In conclusione, come osservato dal Pizzi, "il Regolamento in commento ha il pregio di indicare, in prevalenza principi generali rimandando alla contrattazione collettiva la definizione della disciplina particolareggiata. Al contempo, lo stesso risolve ex ante, con norme dettagliate, eventuali questioni che potrebbero sorgere a causa del luogo in cui viene svolta la prestazione lavorativa. La tecnica seguita, ben si attaglia al telelavoro che, come e stato dimostrato, è una modalità lavorativa molto variegata e in continua evoluzione che non si concilia con una disciplina rigida stabilita dal legislatore". Uno dei principali compiti che il DPR n. 70 demandava alla contrattazione collettiva, concerneva i criteri di assegnazione a posizioni di telelavoro da parte di lavoratori che si siano dichiarati disponibili a ricoprire dette posizioni. L'accordo-quadro ha provveduto in tal senso, definendo una scala prioritaria di criteri di scelta, da impiegare nei casi in cui il numero di richieste dovesse risultare superiore al numero di posizioni previste dall'amministrazione nel suo progetto. Si tratterà dunque, nell'ordine:
Un punto irrinunciabile per le organizzazioni sindacali era quello attinente allo statuto giuridico del dipendente che fosse dislocato in telelavoro da parte della sua amministrazione di appartenenza. La legge 191/98 aveva demandato alla contrattazione collettiva il compito di adeguare la disciplina economica e normativa del rapporto di lavoro dei dipendenti interessati al telelavoro alle diverse tipologie e alle modalità specifiche con cui esso può essere concretamente espletato. Il DPR n. 70 aveva precisato ulteriormente che tale adeguamento avrebbe dovuto garantire in ogni caso "un trattamento equivalente a quello dei dipendenti impiegati nella sede di lavoro e, in particolare, una adeguata tutela della salute e della sicurezza del lavoro". L'accordo-quadro chiarisce in modo assolutamente inequivoco tutta questa materia. Innanzitutto la fattispecie giuridica del rapporto di lavoro, che non muta in nessun caso in ragione dell'assegnazione in telelavoro di un lavoratore precedentemente impiegato presso la sede dell'amministrazione. Ciò significa, in concreto, che un rapporto di lavoro subordinato non potrà essere trasformato in qualcosa di diverso - parasubordinazione, rapporto di consulenza professionale o di collaborazione occasionale - col pretesto dell'assegnazione in telelavoro. Su questo presupposto, che implicitamente presuppone la natura subordinata del rapporto di lavoro, si fondano poi i continui richiami che l'accordo contiene in materia di parità di trattamento e opportunità rispetto agli altri lavoratori che operano in sede. Ciò vale innanzitutto per la legislazione lavoristica: quella vigente in materia di ambiente, sicurezza e salute dei lavoratori, di formazione professionale e di diritti sindacali. In particolare, il lavoratore avrà il diritto ad ottenere dall'Amministrazione le informazioni e la formazione, entrambe necessarie affinché la prestazione di lavoro sia effettuata in condizioni di sicurezza per sé e, aggiunta importante per le specificità dei rischi che il telelavoro può comportare, per le persone che eventualmente vivono negli ambienti prossimi al suo spazio lavorativo (art. 5.5). Dal canto suo, il telelavoratore dovrà attenersi strettamente alle norme di sicurezza vigenti e alle istruzioni impartite (art. 6.2), consentendo a manutentori, responsabili della sicurezza e delegati alla sicurezza. In tema di formazione, le amministrazioni dovranno organizzare iniziative, sia generali che specifiche, volte a garantire "un adeguato livello di professionalità e socializzazione degli addetti al telelavoro" (art. 5.6). Quanto ai diritti di fonte contrattuale, si stabilisce che "per la parte normativa (es.: fruizione di ferie, festività e permessi, aspettative, ecc.) si applica al lavoratore la disciplina contrattuale prevista per la generalità dei lavoratori del comparto", la stessa cosa viene ribadita per il trattamento retributivo, sia tabellare che accessorio, che andrà riferita alla contrattazione collettiva, nazionale, integrativa e decentrata (art. 6.4). Il principio delle pari opportunità fra telelavoratore e lavoratore in sede viene inoltre richiamata a proposito delle possibilità di carriere, della partecipazione a iniziative formative e più in generale, di socializzazione con gli altri colleghi di lavoro. Su quest'ultimo punto, in particolare, si innestano una serie di diritti aggiuntivi rispetto alla normale disciplina legale e contrattuale del lavoro subordinato, volta a prevenire o surrogare forme specifiche di disagio legate alla tipica prestazione di telelavoro. Alludiamo in particolare ai rischi di isolamento ed estraniamento del telelavoratore, paventati e poi verificati sul campo dalla ricerca empirica. Le misure previste dall'accordo sono a riguardo rivolte a garantire la pluralità dei rapporti professionali, sociali e sindacali, che solitamente ineriscono al normale inserimento individuale in un contesto lavorativo. In particolare:
Nella direzione di consentire al lavoratore un'adesione pienamente convinta, e quindi consensuale, al telelavoro, se ne stabilisce la revocabilità dell'assegnazione anche su richiesta del lavoratore, a condizione che sia trascorso il periodo di tempo indicato nel progetto e nel rispetto di ulteriori condizioni eventualmente previste nello stesso progetto (es.: che via sia un sostituto) (art. 4.3). Infine due punti ancora dell'accordo-quadro richiedono di essere menzionati: il primo, sostanzialmente incontroverso, riguarda la postazione di telelavoro e gli adempimenti cui è chiamata l'Amministrazione; il secondo concernente un tema che presenta invece un grado maggiore di problematicità, e cioè i controlli a distanza sulla prestazione, ma anche sul prestatore di lavoro. Per quello che attiene la postazione di telelavoro, definita nel DPR n. 70 come "il sistema tecnologico costituito da un insieme di apparecchiature e di software che consente lo svolgimento di attività di telelavoro" (art. 5.2), l'accordo pone a carico esclusivo dell'Amministrazione le spese per la sua installazione e manutenzione. Il lavoratore potrà disporne, limitatamente per le attività inerenti al rapporto di lavoro, secondo lo schema della concessione in comodato gratuito per tutta la durata del progetto (art. 5.2). Quanto alle spese di utilizzo delle apparecchiature l'accordo prevede un corrispettivo a titolo di rimborso che potrà essere forfettario, correlato all'andamento dei prezzi e delle tariffe dei servizi indispensabili per il telelavoro svolto. Non si capisce, tuttavia, perché a fronte della pluralità delle forme di lavoro a distanza riconosciute e fatte proprie nell'accordo, il tema dei rimborsi chiami in causa soltanto "il lavoratore la cui postazione di lavoro è ubicata presso la sua abitazione" (art. 6.3). Un'interpretazione estensiva, tuttavia, in grado di includere forme di telelavoro diverse da quella domiciliare, si può evincere dal riferimento alla tipologia di consumi citati nel testo, non soltanto energetici e telefonici, ma anche quelli dovuti ad "altre spese connesse all'effettuazione della prestazione". Probabilmente ci si riferisce a spese come quelle di trasporto (ad es.: benzina, biglietti, diaria), per prestazioni di telelavoro mobile. Infine, i controlli a distanza. La materia è stata ed è oggetto di dialettica fra le parti nel dibattito che accompagna le proposte di legge presentate in parlamento sui temi del telelavoro. Il testo unificato del disegno di legge elaborato dal Sen. De Luca, ad esempio, presenta a riguardo una deroga della disciplina prevista dall'art. 4 dello Statuto del '70, laddove afferma che quel divieto "non si applica al controllo a distanza sull'attività del telelavoratore, quando il controllo stesso risulta coessenziale alla prestazione dell'attività oppure indispensabile al controllo da parte del datore di lavoro" (art. 5). Lo stesso testo fa salvo comunque il dovere di informazione che in questo caso incombe sul datore di lavoro, al fine di porre il telelvoratore a conoscenza "circa le modalità, strumenti e dispositivi impiegati per effettuare il controllo a distanza". Questa misura ha trovato le critiche di un sindacato come la Cgil, la cui federazione di settore ha giudicato grave l'elemento derogatorio apportato dal nuovo testo unificato. L'accordo-quadro mantiene su questo delicato problema un taglio meno perentorio, evitando ogni esplicito riferimento all'art. 4 della legge n.300/70 o a una sua deroga. I controlli non sono esclusi, del resto non sarebbe tecnicamente possibile escluderli per quelle forme di telelavoro che si svolgono con connessione on line, ma a condizione che non siano attivati all'insaputa dei lavoratori. Ritorna quindi il diritto di informazione, sebbene nella forma individuale del lavoratore interessato piuttosto che quella collettiva-sindacale prevista dall'art. 4 dello Statuto dei lavoratori. |